Ogni anno, alla presentazione della guida Michelin, mi ritorna in mente quel gioco che fanno tutti i bambini: “Un, due, tre, stella!” Per chi lo ricorda, chi viene colto in fallo torna indietro, al punto di partenza. Inesorabilmente.
Il carattere distintivo della famosa guida “rossa”, però, è “nessuno saprà mai”.
Perché se è vero che le altre guide, chi in un modo chi in un altro, motivano le loro decisioni, per i francesi tale pratica è considerata del tutto superflua.
Noblesse oblige, si potrebbe pensare, che tu sia l’ultimo o il primo dei ristoranti della guida tutto sarà circoscritto nelle solite poche e stringate righe, indirizzo, codice di avviamento postale, numero di telefono e di fax compresi.
Le motivazioni, nel bene e nel male, rimarranno per sempre nei loro archivi, meno inviolabili di quelli dell’Archivio Segreto Vaticano della Santa Sede.
Mi sono sempre chiesto se le loro scelte fossero solo il frutto di considerazioni di natura gastronomica, se le loro attenzioni fossero rivolte esclusivamente alla cottura della pasta, alla sapidità di un piatto, al servizio, alla cantina, o anche figlie di un insano opportunismo politico, fedele ai loro principi.
Il dubbio mi era venuto con la terza stella data all’Osteria Francescana, in quel di Modena, appena un anno fa. Erano anni che la premiata ditta Bottura & Palmieri deliziava i palati di chiunque sedesse ai loro tavoli e solo quando tutte le guide, finanche quelli della 50th Best, hanno messo ai vertici il ristorante di Via Stella, solo quando i cuochi di tutto il mondo hanno dato vita al premio più veritiero e attendibile della storia della gastronomia votando il collega Massimo Bottura come il migliore in assoluto, non hanno più potuto farne a meno.
Personalmente, aldilà di condividere come cliente della “Francescana” la loro gioia, il grave ritardo e l’opportunismo di prendere una decisione perché quasi costretti a farlo non mi erano per niente piaciuti.
Il dubbio della precedente edizione si è poi trasformato in certezza nell’ultima, la 2012/2013.
La snervante attesa a cui è stato sottoposto Massimo Bottura è stata risparmiata al suo collega Enrico Crippa del ristorante Piazza Duomo, ad Alba, altro indirizzo osannato dai buongustai di tutta Italia. Una tempestività insolita, il consueto lustro di ritardo stavolta non c’è stato. Tutti felici e contenti, sottoscritto compreso, reduce fruitore di una delle cene migliori dell’anno, ma la cosa che ha fatto storcere il naso, paradossalmente, è d’obbligo aggiungerlo, è la contemporanea perdita della terza stella dell’altro ristorante piemontese, il “Sorriso” di Soriso.
“La domanda sorge spontanea”, avrebbe detto il mio compaesano Antonio Lubrano, vigile difensore dei diritti dei consumatori. Perché proprio ora? Cosa è cambiato, all’improvviso, nella cucina, nella conduzione, in uno dei ristoranti più imbalsamati del nostro paese?
La stessa domanda me la sono posta alla notizia della perdita della seconda stella per La Taverna del Capitano, ristorante adagiato sui ciottoli della baia di Nerano.
Per chi non conoscesse la costiera sorrentina, è una lingua di terra che inizia da Vico Equense, con “La Torre del Saracino” dello chef Gennaro Esposito e che termina proprio alla sua punta estrema con “La Taverna del Capitano”, passando per la collina di Sant’Agata, dove si erge sui golfi di Napoli e Salerno il Relais di Livia e Alfonso Iaccarino, e prima di arrivare a La Taverna, poche centinaia di metri, un altro santuario della cucina mediterranea, i “Quattro Passi” di Rita e Antonio Mellino. Otto stelle Michelin per quattro ristoranti, equamente divise.
Ben si può capire che il danno economico, prima ancora che morale, subito da Mariella e Alfonso Caputo, sommelier e chef, nonché proprietari de “La Taverna”, è stato notevole, proprio perché bisogna dare atto alla Michelin che nessuna altra guida influisce come la loro in modo così determinante sui fatturati dei ristoranti, soprattutto nel segmento alto.
Ecco che allora, anche in questo caso, ti chiedi cosa sia cambiato in un ristorante a conduzione familiare come quello della famiglia Caputo, con Mariella e Alfonso, alle prese con cantina e cucina, e Claudio, marito di Mariella, nelle vesti di maitre di sala. Persone con venti anni di esperienza sul campo. “Nulla è cambiato”, sarebbe il caso di dire.
Anzi, entrando nel merito, la cucina di Alfonso Caputo l’avevo trovata addirittura migliorata nelle consuete visite estive. Le grandi materie prime messe ancora più al centro della sua cucina, sempre meno fronzoli e più sostanza, orientamento comune a chi si trova a operare nelle difficoltà economiche attuali.
Nel periodo estivo, anche nei social network, si erano sprecate le tante foto, i tanti commenti, di persone che avevano trovato ottima la cucina di Alfonso Caputo. Giusto per chiarire, che Dio mi fulmini se mi sfiorasse il pensiero che la verità si annidi nell’approccio spesso superficiale e confusionario delle community, però, se si è bravi e attenti nello scremare, qualche indicazione utile può arrivare anche da lì, considerato che alle discussioni partecipano spesso e volentieri gli stessi attori del mondo professional, anche se in modo più scanzonato e informale.
Mi rendo conto, però, che prendere in considerazione tali fonti sarebbe chiedere troppo, anzi, l’impossibile.
Comunque, per togliermi dalla testa il più piccolo dei dubbi, sono tornato a “La Taverna” giovedì 22 novembre a pranzo, considerato che l’ultima mia visita risaliva a fine agosto, quasi tre mesi prima. Mi sono chiesto: fosse franata la cucina sugli scogli? Allora sono piombato all’improvviso, accolto da un sorriso non proprio radioso di Mariella. Inutile dire che il colpo c’è stato ed è stato pesante, si avverte nell’aria prima ancora della difficoltà di mostrarsi sorridenti ai propri clienti.
Una tensione mitigata, nell’occasione, solo dall’allegro ritorno da scuola dei giovani figli di Mariella e Alfonso, seduti come tutti i giorni al tavolo davanti alla cucina e probabilmente ignari, considerato che ne usufruiscono quotidianamente e di diritto, di godere di una delle migliori espressioni della cucina italiana.