Ma ‘sti pizze so’ papocchie o che?

Era stato buon profeta tale Gennaro Esposito quando scrisse questa poesia, affissa poi in bella mostra su una parete dell’Antica Pizzeria da Michele, una delle storiche napoletane che da sempre sforna rigorosamente Margherite e Marinare.

“A quando sta ‘o benessere
‘a gente pensa a spennere 
e mo’ pure o’ chiù povero 
‘o siente ‘e cumannà
Voglio una pizza a vongole
 chiena ‘e funghette e cozzeche
 con gamberetti e ostriche 
d’o mare ‘e sta città.
Al centro poi ce voglio 
n’uovo fatto alla cocca 
e co liquore stok 
l’avita annaffià.
Quando sentenno st’ordine 
ce venne cca’na stizza 
pensano ma sti pizze,
 songo papocchie o che.
Ca se rispetta ‘a regola 
facenno ‘a vera pizza
 chella ch’è nata a Napule
 quasi ciennt’anne fa.
Chesta ricetta antica 
si chiamma Margherita 
ca quanno è fatta a arte 
po ghi nant’a nu re.
Perciò nun e cercate
 sti pizze complicate 
ca fanno male ‘a sacca 
e ‘o stommaco patì”.

Da quando pizze e pizzaioli sono finiti sotto la luce dei riflettori qualcosa è cambiato. Anzi, forse più di qualcosa.

Dai pizzaioli, sempre più impegnati a fare il verso ai più blasonati colleghi chef, fino alle pizze, che in alcuni casi sembrano siano diventate solo un pretesto per esercitare il più selvaggio dei celodurismi, a colpi di pomodori, verdure e frattaglie varie.
Un pizzaiolo se oggi non ha sul suo banco di lavoro il Pomodorino Biologico di…, l’olio del tal dei tali…, la mozzarella del casaro più di moda e nel frigo una trentina di birre artigianali da abbinare, rischia di finire peggio dei dimenticati dell’Isola dei famosi.
Ovvio che il problema non è legato all’uso di questi prodotti, anzi, era ora che comparissero anche sui banchi dei pizzaioli, ma negli abbinamenti improbabili, che molto spesso non tengono conto delle regole di base della buona educazione alimentare.

In rete impazzano le foto più insulse, una delle ultime viste, non avendo fatto a tempo a distogliere lo sguardo, riprendeva una pasta alla siciliana adagiata placidamente su una pizza margherita.
Sarà per le nuove condizioni economiche tendenti al basso che hanno spostato l’interesse verso soluzioni più a buon mercato, sarà perché finalmente si è capito che una pizza quando è preparata a regola d’arte può regalare le stesse emozioni di un piatto d’alta gastronomia, ma questo processo così repentino ha finito per travolgere alcuni, provocando frequenti litigi fra colleghi, spingendone altri a invocare addirittura dei copyright per una pizza anziché un’altra.

Ecco che allora rischi di ricordare a lungo un’uggiosa giornata di aprile, quando nella Masseria dei Trianelli del buon Luciano Di Meo, nell’alta provincia casertana, ti abbandoni all’inebriante profumo dell’origano selvatico, scoperto così per caso.

E così, in una vicina pizzeria, quella del bravo pizzaiolo Pasqualino Rossi, in quel di Alvignano, in compagnia di un buon vino di quelle parti, si rinnova quel grande miracolo che sta nella semplicità delle cose. Acqua, farina, pomodoro, olio, origano.

Che bello e che buono! E forse ti verrebbe da dire, ricominciamo da qui.

 

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